Note sull'osservazione degli oggetti, di Francesco Radino

Francesco Radino per i " Quaderni di Villa Ghirlanda 1" Museo di Fotografia Contemporanea Villa Ghirlanda, Cinisello Balsamo. 2003



Note sull’osservazione (degli oggetti)

...“Chi abbia consuetudine con la propria intimità, scorge le aure nel mondo esterno; chi si ignora, chi non abbia mai avuto un sogno fatidico, può passare accanto ad esse e neanche voltarsi”.
* Elémire Zolla, Aure, i luoghi e i riti, Marsilio 1995

A volte ho come l’impressione che una nebbia velenosa avvolga quella parte del mondo che noi chiamiamo occidente ed essa spenga i luoghi, dopo averli impoveriti di senso e resi indescrivibili.
E sempre più mi rendo conto di quanto sia  difficile  fuggire da quell’insidioso rumore di fondo che ingombra ogni spazio fisico e mentale e a cui ci sottopone una comunicazione  ridondante, ubiquitaria, priva di qualità e direzione, tanto che è  facile perdersi.
Ricordo molti anni fa -eravamo sulla riva del mare- quando un amico, vedendomi come spesso accade, silenzioso ed assorto, mi chiese cosa pensassi: risposi che non pensavo assolutamente a nulla; stavo semplicemente guardando e questo osservare, senza ragione o intenzionalità,  mi pacificava col mondo. Erano quegli anni dell’adolescenza in cui bisognava dare una risposta a tutto  e così il mio amico non si considerò per nulla soddisfatto dalla mia risposta facendomi notare come gli uomini, almeno quelli dotati d’un minimo d’intelletto, non potessero “non pensare”. Ne conseguiva che, per misteriosi motivi,  volessi nascondere la natura dei miei pensieri o quantomeno  dissimulare la mia evidente pochezza.
La discussione si arenò su quella spiaggia lontana: lui continuò nella sua ricerca razionale di certezze, io a perdermi nell’osservazione del mondo.
Quell’inclinazione ad osservare le cose prendendo distanza dalla razionalità mi spinse in seguito a considerare come una virtù quella di comporre immagini in cui l’imprecisione del significato e l’ambiguità del linguaggio fossero la chiave del mio percorso creativo. Non cercavo di capire il mondo  ma al contrario di farne parte.
Nell’antichità furono i filosofi della scuola di Mileto, nel sesto secolo, ad immaginare l’universo come unico organismo alimentato da un  respiro cosmico, denominato  pneuma, in grado di animare  ogni cosa. Eraclito poi descrisse una realtà in divenire dove l’unità degli opposti, il  logos, era motore della vita e delle continue infinite mutazioni.
Con varie sfumature il pensiero filosofico orientale, cinese e indiano, seguì lo stesso percorso:il tutto era uno e la suprema aspirazione era quella di trascendere dalla nozione di sé come individuo per identificarsi con la realtà ultima, la quale, risiedendo  in ogni cosa, governava dall’interno tutti gli esseri.  Poi nell’occidente una nuova concezione del mondo, sistematizzata prima da Aristotele e poi dal  pensiero di Cartesio,  sancì quella separazione fra spirito e materia su cui ancor oggi si fonda la nostra società, dove l’uomo si identifica con il proprio spirito (o la propria mente ) come io separato all’interno del corpo. L’affermarsi di questa concezione non ha potuto far altro che spingerci sempre più  a separare, classificare, misurare ogni cosa come fosse altra da noi stessi.
Anche il il fotografo, di conseguenza,  è stato costretto a organizzare in maniera sempre più specialistica  la propria visione poiché lo  scopo ultimo delle società governate dal mercato è in tutta evidenza l’utilità e non la conoscenza. Questa cecità di senso e di significato ha reso paradossalmente assai più acuta la vista dell’occidente sia nel campo della scienza  che in quello dell’arte e della comunicazione visiva. L’enciclopedismo di  Diderot e il sistematismo di Linneo ci hanno permesso di conoscere una realtà organizzata in sistemi così come i Becker, Basilico o Parr ci hanno permesso di conoscere uno strano mondo che si compone per somme tipologiche industriali, urbanistiche o umane.
Parallelamente in alcuni autori del nostro tempo si è fatto largo il tentativo di superare la toponomastica dei generi e in contrasto con le tendenze più affermate, dove primeggiano le tematiche legate al glamour, al sesso, ai miti delle metropoli, affiora qua e là uno sguardo più lieve e silenzioso, assetato di conoscenza, accompagnato dal dubbio.
Uno sguardo filosofico, direi, che accomuna autori anche distanti fra loro nel tempo e negli aspetti formali: Atget, Sudek, Frank, Koudelka, Ghirri, Guidi, Robert Adams, Giacomelli, Mimmo Jodice, Izu e Sugimoto, solo per citarne alcuni fra i più noti.
Da loro ho imparato molto sull’osservazione degli oggetti.
Nel mio lavoro più recente Inside sperimento la cancellazione dei generi  nel tentativo di ridefinire una visione primitiva dove gli oggetti possano vivere armoniosamente, gli uni accanto agli altri, in un unico mondo senza gerarchie. Vi si scorgono, come in un film oscuro e senza regia, alberi e arbusti, acque e rocce, ombre e muri, uomini e pesci, silenziosamente vicini, come per tenersi compagnia, in attesa che gli eventi trasformino gli uni negli altri e si compia il mito dell’eterno ritorno.
Non vuol essere quindi “catalogo” degli oggetti che popolano il mondo visibile ma luogo d’incontro e di conoscenza, spazio aperto ad ogni percorso, nel mutevole contesto dell’esperienza  di se stessi e del mondo.
Vi prego di prendere in considerazione, fra i tanti, anche questo punto di vista.


8 dicembre 2002