Italia di Lucania

(...) Francesco Radino, di cui non conosco il volto e le mani (…) riscopre una Lucania, un'ltalia di Lucania che è presepe, è omerica, è ruvido paradiso, è distanza, è aria lontana, è ritmo lentissimo scandito da sole e stelle e non da orologi, ed infine è tragedia.
E’ una briciola di Italia pura, soave, antica come il miele e come l’ape che fabbrica il miele. E’ di una felicità modestissima, nascosta, armonica. E’ scoperchiata sotto alti cieli che infine deflagreranno. E’ deposta su visceri planetari violenti, che infatti esplodono. Ma e indubitabilmente mirabile che un uomo si accosti ad una briciola di Italia partendo da lontano. Molti paesaggi, molte greggi, molte nuvole, molte curve di sentieri devono trascorrere prima che per Radino arrivi il volto di un uomo. Tutto sia terra, all'inizio. L'uomo, pur affaticato e condizionato, è pur sempre un ospite. Doloroso ma quasi incongruo, pagante dazi folli, ma sempre passeggero.(…)

L'Italia di Lucania siamo noi. Noi pastori di presepi, noi di radici contadine. Noi figliati da lunghi scialli neri materni. Noi vittime dei fulmini e delle rabbie geologiche. Noi alunni del sole e per questo dannati a cibarsi solo di sole. Noi degli antichissimi matriarcati. Noi delle pecore sparse e del cane pastore che ci guarda e attende l'ordine. Noi della solitudine. Noi dei preti che costruirono un campanile per farci inginocchiare nelle albe e nei tramonti. Noi dimentichi di Venere e dell'Olimpo. Noi di pane solo e formaggio ancora più solo. Noi dell'umiltà e noi della recita, perché bastano un bicchiere e un invito per farci ridere e recitare. Noi di Ulisse. Noi del Padreterno che non ci dà piu del tu. Noi del somaro. Noi del berretto sugli occhi. Noi storti. Noi che ci arrampichiamo per sentieri sassosi e però profumati. Noi che conosciamo ogni tipo di morte e di pianto. Noi che veramente siamo nati facendo urlare le madri. Noi che abbiamo sputato fiele. Noi che non abbiamo niente da regalare, tranne le braccia e la pazienza. Noi che creperemo senza un saluto. Noi servi di codici sconosciuti. Noi martellati da storie che non ci riguardano. Noi angeli di un Cristo straccione.
Se ci guardiamo in faccia, in silenzio ci capiremo.



 

Giovanni Arpino, dalla prefazione del volume "Italia di Lucania" Ed. Il Diaframma Canon/Fotoselex, 1981

 

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